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30 Nov

DUE CHIACCHIERE CON: GIANFRANCO BORTOLOTTI

Il “due chiacchiere con..” di oggi è di un livello altissimo.

Ammetto di essermi emozionato e stupito quando ho ottenuto l’approvazione dell’intervista da uno dei più grandi produttori di musica dance in Italia e non solo.

Per questo ringrazio i sempre da me criticati social che, questa volta, si sono rivelati fondamentali per raggiungere un personaggio altrimenti inavvicinabile.

Leggendo le risposte che troverete sotto, capirete che nel mondo della musica professionale si parla su un altro piano (o pianeta) rispetto a quello a cui siamo abituati.

Titolare di etichette che fanno venire i brividi al solo nome: Media Records, UMM, BXR, Heartbeat e Noise Maker. Ha avuto artisti come Gigi D’Agostino, Claudio Coccoluto, Tiesto, Armin Van Buuren e potrei andare avanti per almeno 5 pagine.

Con un po’ di timore reverenziale vi presento: Gianfranco Bortolotti.

Ciao Gianfranco

Ciao Ale

Parto da una domanda di rito: come hai deciso di diventare produttore discografico?

Sono diventato un produttore discografico il giorno in cui ho incontrato un DJ.
Siamo diventati amici e l’ho seguito nell’avventura di produrre un disco, da spettatore.
Ho assistito e imparato, imparato molto.
Ai tempi, ero uno studente universitario annoiato, ma, a differenza del mio amico, avevo una mente sveglia ed allenata. Le reminiscenze di bambino, quando, per conto di mia madre, andavo a comprare i 45 giri dei successi di Sanremo, riaffioravano ogni qual volta un accordo, o un suono, smuoveva la mia pancia che, scoprirò poi, era ed è l’essenza dei mio successo.
Ho deciso così di mettermi alla prova, sfidando il pregiudizio di tre amici DJs del tempo, tentando di produrre un disco da solo.
Sono diventato il finalizzatore di ogni loro intrapresa. Ero il più istruito, il più intraprendente e, tutto sommato, il venditore più abile.
Ma produrre un disco, significava organizzare forze e denaro, trovare uno studio adatto e anche un musicista o un programmatore.
Decido di rivolgermi allo stesso studio dove i miei amici producevano, ma di usare musicisti rimasti ai margini.
Spiego loro cosa voglio, le mie idee, il mio feeling affinatosi nelle lunghe trattative con i grossisti di Milano, che mi indicavano la via più breve per piazzare un successo, ma bisognava saperli ascoltare.
Così è stato: un successo, i miei primi milioni di lire.
Ero ubriaco di felicità, avevo trovato il lavoro che volevo fare: talento, pubbliche relazioni, internazionalità, intraprendenza, viaggi e tante tante motivazioni.

Nella tua carriera hai lavorato con mostri sacri della musica elettronica, italiani e internazionali. Hai un progetto che ti è rimasto nel cuore o che ti ha fatto dire: “non ci credeva nessuno, ma ho avuto ragione io”?

Moltissimi. Produzioni all’inizio snobbate, non solo progetti, anche artisti o, come spesso ci è successo, anche stili musicali.

Ignorati, addirittura ostacolati, fortunatamente senza successo. Potrei citare la stessa House Music. Nessuno, tranne il sottoscritto, ci ha creduto.

Lo scenario era questo: tante etichette degli anni 80, con l’avvento della house music, sono sparite, altre, come ad esempio la Time records, fra le prime a reagire, iniziano a produrre house due anni più tardi. Le radio non “passano” house, alcune insistono con la italo disco, internet non esiste, solo i vecchi negozi di dischi di importazione ci aiutano.
E’ attraverso loro che abbiamo costruito il nostro mito. Anzi, approfitto per ringraziarli tutti, uno ad uno.
Le distribuzioni di dischi, i grossisti, solo grazie a loro siamo esistiti e abbiamo ottenuto il riconoscimento del mondo intero. Così è stato anche per la Techno o per i Cappella, uno dei gruppi di maggior successo nell’Europa degli anni 90.

Per i DJs: già nel 1991 Heartbeat produceva gli migliori artisti del panorama underground d’Italia, Coccoluto, Ralf, Gemolotto, ma anche Colombo e moltissimi altri che spero perdoneranno la mia scarsa memoria.

Sorrido quando oggi mi parlano di DJs come se non ne capissi dell’argomento a causa dei miei 15 anni lontano dalla musica per fare l’ architetto.
Altri progetti non capiti? Gigi d’Agostino!

Ho dovuto personalmente promuoverlo in tutte le radio più grandi d’Italia, per oltre un anno.

Solo alla sua terza release, le radio iniziano a suonarlo dicendomi che avevano “immediatamente” capito il suo potenziale. Quando poi, finalmente, lo suona Albertino, al tempo il radio-DJ più forte d’Europa, ecco delinearsi il più grande DJ della intera storia musicale italiana. Uno che, nel mondo, sarà sempre ricordato.
Alla fine ho avuto ragione io, quasi sempre, per ogni singola iniziativa: la House, la Techno, la Mediterranean Progressive, la Supertechno della BXR nera, la Techno-Trance della Bxr bianca, etc.
La dimensione del successo della Media Records è stata così grande da far dimenticare, ai più, che noi abbiamo ottenuto più di 150 dischi d’oro e platino in soli 15 anni!

Solo 15 anni, nessuno prima di noi, nemmeno la Motown Records.

Sei stato tra i pionieri della tecnologia di produzione e distribuzione in Italia. Uno studio solamente dedicato al mastering negli anni 90, riconoscere l’importanza della distribuzione online agli inizi dei 2000. Quanto ha significato questa capacità di anticipare i tempi nel business della musica?

Gli anni 90 sono un momento speciale per tutti. Un terzo miracolo economico italiano, un generale benessere in Europa e Stati Uniti, nuove tecnologie si annunciano in ogni campo e sullo sfondo si inizia a parlare di Internet. Arrivano il cellulare, gli sms, il fax, la posta elettronica (anche se, per ritirarla, dovevo fare 5 km per andare dal mio studio, in una e-company ogni giorno).
Tutto questo dà un grande vigore ad imprenditori ed a giovani con la voglia di emergere.
Nel nostro settore entrano in scena i campionatori.
All’inizio, se ricordo bene gli Akai 612, 8 bit, 1 minuti di campionamento, senza sync, poi finalmente l’Akai 900. Un’ “invenzione” che ha innovato anzi, rivoluzionato definitivamente la musica.
Disegno il nuovo layout dello studio, da una parte una work station con incorporati 4/5 campionatori Akai in modo molto ergonomico per il musicista, davanti a sè la “master keyboard”, alle sue spalle tutta l’effettistica che nel tempo poi sparirà insieme ai campionatori per prendere posto nelle “ram” di veloci e potenti computer, anch’essi in evoluzione tecnologica vertiginosa.

Crolla il costo degli studi di registrazione. I “36 piste” analogici scompaiono lasciando, in molti musicisti da studio, un senso di vuoto, quasi uno sgomento.

Ma dov’era finito il master? La domanda ricorrente era: “che ne sarà dei vinili, dei cd che avevano appena cambiato la qualità della musica? Ne costruisco fino a 16.

Ormai li costruivo “ad occhio”, senza calcoli, ed ogni lta alzavo lo standard di qualità, rinnovando i campionatori, il 950, poi il 1000, poi il 1100, l'”S”, l’Akai veniva a testarli da noi, ne compravamo a decine alla volta.

Per alzare ulteriormente lo standard ecco Carletto: un collaboratore indispensabile. Divenne il nostro primo tecnico del Mastering. Credo fosse il 92/93, nasceva il primo Mastering Studio del mondo. Tutti invidiavano il nostro “sound”.
Con un amico, sempre in quel periodo, fondo la Impulse, dapprima la nostra società di promozione e management.

Successivamente la nostra antenna tecnologica: Mix-it per mixare gli mp3, nel 1995, il nostro sito interattivo con visita in 3D agli studi nel 1996, il jukebox box on line e su cellulare con Omnitel, per ascoltare le nostre novità ed infine il fiore all’occhiello, Musicgel, quello che oggi sono Apple, Google, Spotify, con le tecnologie del tempo ovviamente.
Tutto questo, questa attitudine a sperimentare il nuovo, fece della Media Records degli anni 90
La più grande e rivoluzionaria indipendente dance label del mondo.

Quindi la risposta è: tutto questo ha rivoluzionato il mondo della musica dance, e quando dico mondo non intendo il mondo in senso metaforico, ma letteralmente tutto il pianeta: America, Regno Unito, Germania, etc. ovunque, dal disegno della workstation, alla architettura degli studi fino alle strategie di comunicazione, tutto era liberamente ispirato alla Media Records.

Dai vinili a Spotify, il possesso della musica è ormai davvero passato di moda? Basta la pubblicità o “l’account premium” a bilanciare questa mancanza di introiti?

Sì, il possesso è passato di moda.

Qualcuno collezionerà o acquisterà sempre cd o vinili, ma sarà una questione di moda o collezionismo, certamente non di grande consumo.
Spotify, secondo gli ultimissimi dati, vende meno del 3% dei suoi account premium, questo almeno in Italia, ma, secondo me, anche se in temporaneo calo si riprenderà. Al momento tutti preferiscono non pagare la musica, ascoltarla sponsorizzata, o scaricarla illegalmente ma non sarà per sempre.
Le case discografiche si stanno organizzando con i management, accordandosi con i booker, per recuperare valore aggiunto da quello che, ormai, è l’unico valore in campo, l’artista e la sua musica. La casa discografica oggi è la promozione dell’artista: quella che crea la sua sostenibilità, che scrive e fa la sua storia. Anche l’editore ormai contribuisce a questo e si nutre pur’esso dei frutti del management.

Ragazzi! Il mondo è cambiato di nuovo. La musica continua.

Ci sono più di un miliardo di pezzi on line. E’ necessario adattarsi e ridisegnare strategie se si vuole sopravvivere e trovare lì la nuova linfa vitale.

Rimanendo in tema tecnologia: creare e distribuire sono diventati accessibili a praticamente tutti. Riprendendo un tuo slogan “Liquid Music 4 Liquid Culture”: oggi siamo andati ancora oltre?

No! Sono felice che tu ricordi quello slogan, nato ben prima di i-Tunes, di Google Play o Google Music, prima di Beats, Rapsody o Spotify.

Le nuove generazioni oggi meno che mai hanno attaccamenti, troppo incerto il futuro per investire su qualcosa o qualcuno.

Preferiscono vivere alla giornata, sono generazioni spossessate di tutto.

La mancanza del supporto, la semplicità di accesso alle piattaforme di musica, la possibilità di farsi una playlist con le canzoni o gli artisti preferiti in totale mobilità senza l’impegno di comprare un cd o di “downlodare” un pezzo, oggi si adatta perfettamente al loro stile di vita.

Lo streaming, il mirroring o l’Airplay sono il futuro.

In 5 anni non avremo nemmeno più il ricordo di aver posseduto un disco in vinile, un cd o anche un solo mp3.

Le banche dati dei contenuti, specialmente di musica o entertainment, saranno organizzate da agenti intelligenti, vere e proprie reti neurali che in una frazione di secondo ci metteranno a disposizione quello che cerchiamo, dove e come lo vogliamo.

Sulla tv, sul telefono nella nostra vasca da bagno, dal frigorifero se stiamo cucinando, ma perfino sull’asfalto di un’autostrada o tra gli alberi in un parco.

Fruiremo della nostra musica preferita semplicemente interfacciandoci con micro stazioni installate ovunque e non ci disturberemo l’un l’altro grazie a riduttori/controllori di Db che creeranno la nostra “bolla” personalizzata, si muoverà con noi, ovunque andremo. La sfida già partita. L’intelligenza artificiale e gli strumenti che questa muoverà, “BOT” inclusi, é già una realtà.

I miei figli? Vorrei che studiassero le nanotecnologie, l’intelligenza artificiale, il virtual 3D, la matematica.

Club culture in Italia: ha ancora senso parlare di “cultura club”? dopo che tra festival, social star e numeri gonfiati, non si riesce a trovare un modo per riconoscere il lavoro della notte come un “lavoro”?

Non si può negare la notte. Nella notte ci si diverte di più e qualche volta si esagera.

Ma chi tende a lavorare di notte spesso ha qualcosa da nascondere.

Ovviamente non faccio di tutta l’erba un fascio, ma la notte, spesso, persone di grande talento (i manager, gli artisti, molti imprenditori, ecc) si confondono con persone che nascondono la tossicità del loro essere. Persone tossiche nel senso clinico del termine, ma anche persone in malafede, riciclati o rifiutati dai lavori diurni.

Del resto nella notte, ladri e delinquenti hanno il loro habitat naturale, l’oscurità sempre maschera e dunque confonde i talenti con i fetenti.

Come vedi la bolla “DJ” da qui a qualche anno?
Resteranno i migliori!

Essendo nell’era di YouTube, anche i più belli e bravi ad intrattenere.

Come per il calcio, avremo 10/12 squadre (le Label) nel mondo, strutturate, competitive con 30/40 talenti (i DJs).

Il resto saranno squadre di seconda categoria, inferiori per strutture ed investimenti in cui di tanto in tanto emergerà un talento immediatamente venduto dal loro “Manager” ad una delle sopracitate “Label”. Emergeranno le etichette che avranno dalle “Piattaforme” più Diritti, e che ovviamente saranno capaci di fare attenti investimenti.

Come Sky per le squadre di calcio.

Grazie Gianfranco

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